La complessità del mondo
(qualche dettaglio in più)
24 settembre 2025 ore 17:30
L’Aquila, libreria Colacchi
Corso Vittorio Emanuele, 5
Conversazioni con l’autore del libro “La Direzione delle Opere”

Il tema centrale del libro è il project management, espressione che rimanda al mondo anglosassone. Intorno a questo tema l’autore allargherà il dibattito verso l’aspetto più ampio e articolato della complessità del nostro mondo, quello dell’Italia di oggi e delle nostre oggettive possibilità di crescita attraverso l’innovazione. Innovazione, cambiamento, stile di vita, nuovi prodotti, nuovi servizi dai privati ai privati e dalle Pubbliche Amministrazioni ai cittadini. Tutto ciò richiede una robusta preparazione per dirigere le opere, traduzione del più generico e abusato project management che, rinviando alla cultura anglosassone, ha una semantica diversa e un diverso approccio organizzativo. Naturalmente l’autore del libro non ha nessuna intenzione di cambiare un lessico ormai consolidato nel nostro vocabolario quotidiano; ma certamente il project management di stampo nazionale non è e non sarà, nel lungo periodo, quello che noi intendiamo secondo la cultura italiana stratificata in oltre 25 secoli di opere, infrastrutture, manufatti, costruzioni. Oggi, diversamente dal passato, il project management si insegna. Fino a meno di 15 anni fa non era così diffusa la didattica sul project management anzi, il project management non era proprio una disciplina d’insegnamento. Oggi, come non mai in passato, proliferano programmi su questo tema, proposti da aziende e business school di altrettanti atenei. Ogni anno si moltiplicano i master di ogni ordine e grado e, soprattutto, hanno preso piede le certificazioni o attestazioni di conoscenza sul project management.
Ma quale può essere un percorso formativo su questa sedicente disciplina?
I corsi universitari di ingegneria e, più in generale, tutti quelli in campo tecnico e scientifico fornisco in modo naturale e strutturale la formazione necessaria per dirigere un progetto, anche in assenza di specifici corsi. È ciò che hanno vissuto almeno 8 generazioni di ingegneri e tecnici italiani, dalla creazione dello Stato unitario ad oggi, che uscivano dalle università con un bagaglio di strumenti e un orientamento mentale appropriato ai progetti. Il resto lo faceva l’apprendimento nei cantieri e negli studi di progettazione. Ancora oggi, questi tecnici escono dal guscio delle accademie con una forma mentis appropriata alle opere. La questione, dunque, è la preparazione per tutti gli altri professionisti di ambito non tecnico-scientifico.
Un nuovo attore sul mercato della formazione
A partire dalla metà degli anni ’80 del novecento, il Project Management Institute® (PMI®), associazione non-profit nordamericana, lancia sul mercato un testo unitario omnicomprensivo e generalista sul project management che, infatti, chiama “Project Management Body of Knowledge” anche detto PMBoK®. L’intenzione del PMI è, appunto, creare un corpo di conoscenze comuni a qualsivoglia progetto. Primo aspetto da rammentare: nel mondo anglosassone il project manager è solo una di una molteplicità impressionante di figure professionali che ruotano intorno ai progetti, e non è neanche la più importante. Secondo aspetto, forse anche più rilevante: il PMI non ha alcuna intenzione di sostituirsi o di creare un’alternativa ai percorsi formativi professionali, quelli delle università e delle scuole di specializzazione. L’intenzione dell’associazione americana è di creare e immettere sul mercato un “bollino blu di qualità” col quale il professionista può distinguersi e migliorare il proprio bagaglio di conoscenze; detto in altre parole, il PMI crea un prodotto commerciale col quale fornire una credenziale sulle conoscenze, ma non sulle competenze del professionista. Non a caso, il professionista che volesse sottoporsi al certification exam deve dimostrare a) una competenza maturata per alcuni anni su progetti reali, b) un percorso accademico o scolastico. In altre parole, il certification exam è una ciliegina sul CV del professionista e, per rendere la ciliegina appetibile, l’esame è veramente complesso.
Un nuovo falso concettuale
In Italia tutto tace fino al 2008, più o meno. Intorno a quell’anno nasce, prima un’associazione a imitazione di quella americana, poi una certificazione nazionale. Cosa c’è di diverso dal certification exam americano? La certificazione italiana (ne seguiranno a ruota almeno un altro paio) ha le seguenti caratteristiche: a) non prevede alcuna competenza pregressa su progetti reali, b) non prevede alcun percorso formativo pregresso, c) è estremamente semplificata. Da dove nasce quest’idea e il suo falso concettuale, per quanto non voluto e inconsapevole? Il PMI si diffonde in tutto il mondo attraverso centri culturali in molti Paesi. Anche in Italia nascono i cosiddetti chapter del PMI, centri di diffusione culturale del modello PMBoK. Sempre in Italia qualcuno matura l’idea che la complessità del modello PMBoK sia un freno alla diffusione del project management. Non comprendendo l’essenza del PMBoK, dei suoi ideatori, delle sue finalità (il famoso “bollino blu di qualità”) e, soprattutto, del contesto culturale in cui nasce, si pensa di effettuare una contaminazione del substrato della cultura tecnica italiana senza conoscerlo esso stesso. Attraverso un innesto, si genera un albero che non produce frutti di conoscenza. Il falso concettuale è l’idea che la semplificazione porti valore solo perché “è semplice”.
La complessità del nostro mondo
All’opposto, il mondo italiano, sul piano normativo, sociale ed economico è molto complesso. La complessità per la realizzazione di opere private e pubbliche è andata aumentando con l’integrazione alle normative dell’Unione Europea. Ma c’è un fatto che modifica nella sostanza il nostro mondo. La crescita socio economica italiana passa anche attraverso i finanziamenti pubblici, quelli italiani e quelli europei, sia diretti che indiretti. Una quota consistente del PIL italiano è reimmesso nel circuito economico attraverso i fondi. Da oltre 50 anni, la crescita nazionale è sostenuta anche dai finanziamenti pubblici. Non c’è azienda italiana che non abbia almeno tentato di partecipare a un bando pubblico di finanziamento per l’innovazione. Le Pubbliche Amministrazioni locali sono diventate la cinghia di trasmissione di questa economica che è tutt’altro che nuova. Aziende di ogni ordine e dimensione e le stesse PA sono chiamate ad essere esperte in progetti e progettualità. Le organizzazioni private che hanno investito per molti anni in innovazione, sanno molto bene come si realizzano i progetti; sono le imprese che acquisiscono un numero crescente di laureati in materie tecnico-scientifiche e che hanno creato i loro modelli progettuali. Queste organizzazioni sono autonome e, in genere, non hanno bisogno di percorsi formativi etero diretti. Queste sono le aziende che l’autore chiama “organizzazioni industriali”, non perché hanno, di necessità, un impianto industriale dietro le spalle, ma perché conoscono i principi dell’organizzazione industriale del lavoro progettuale.
E tutte le altre organizzazioni?
Dunque, si pone il problema di una formazione extra accademica per le organizzazioni non industriali, private e pubbliche. La questione è irrisolta e nulla può la disseminazione del modello italiano formativo per la certificazione nostrana. La qualità è bassa, in alcuni casi i contenuti sono errati e, soprattutto, non crea la consapevolezza che il project manager, il direttore dei lavori, il direttore di cantiere (chiamiamolo come vogliamo) ha un ruolo centrale e funzionale per individuare soluzioni di semplificazione attraverso approcci e tecniche complesse. E la certificazione americana, di gran lunga molto superiore a quella italiana per contenuti e qualità, non viene incontro a quei professionisti che sono chiamati a dirigere progetti ma che, a ragione di percorsi educativi e professionali estranei al mondo della progettualità, non possono esporre alcuna competenza di settore. A chi si devono rivolgere costoro? Devono iscriversi ad una laurea di ingegneria o architettura? Al momento la domanda è senza risposta, o quasi.
I modelli ISO e UNI
ISO e UNI sono organismi di normazione. Cioè, organizzazioni preposte a normalizzare cose e processi. Normalizzare il passo di una vite ad uno industriale è una necessità perché l’industria funzioni. Normalizzare un processo industriale ha anch’esso un suo perché organizzativo, di qualità e di sicurezza sociale; pensiamo, ad esempio, ai processi industriali in ambito alimentare. Ha senso normalizzare i processi progettuali? É una domanda complessa che richiede un ragionamento complesso. Qui forniamo solo una traccia di un ragionamento che sarà trattato nel corso dell’evento. Ogni organizzazione ha i propri modelli di lavoro. Il modello progettuale ha anch’esso le sue declinazioni tante quante sono le organizzazioni. Possiamo mettere a fattore comune gli aspetti comuni, appunto, ma sono così pochi che ci dobbiamo chiedere che senso ha normalizzarli. Sarebbe come normalizzare una ricetta di cucina. Ma non basta. La tecnologia corre ad una tale velocità che i processi progettuali sono essi stessi in continuo mutamento. Ma, allora, cosa è stato normalizzato? In realtà poco, pochissimo, ovvero le cosiddette prassi che possono essere spiegati nell’arco di un breve seminario di poche ore. Inoltre, la normazioni di UNI, quella identificata col codice 11648, che ha la pretesa di definire le competenze, conoscenze e abilità di un project manager è stata scritta sulla falsa riga – ma dovremmo dire col copia-incolla – della certificazione italiana del project management.
Per il resto ne parleremo il 24 settembre a L’Aquila!
Evento organizzato, per la sola parte culturale, con l’Alto Patrocinio della Regione Abruzzo e del Comune dell’Aquila, Capitale italiana della Cultura 2026.


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